lunedì 19 maggio 2008

Sulla pena capitale

La Pena di Morte - anche detta Pena Capitale - consiste nella soppressione fisica, ordinata da un tribunale, di una persona dichiarata rea di crimini particolarmente violenti ed efferati che possano mettere a repentaglio la sicurezza di una Nazione – è il caso dell'alto tradimento -, in altri casi, come in alcuni paesi islamici, viene comminata per aver commesso atti contro la religione - come la blasfemia nel caso di Rushdie o l'adulterio nel caso di centinaia di donne – o per reati di opinione come in Cina.
I sostenitori della pena di morte affermano che è un ottimo deterrente per far sì che i reati per cui è prevista vengano commessi più raramente, ma ciò non è supportato da nessuna evidenza statistica. Se prendiamo il numero di omicidi commessi in due metropoli statunitensi come Los Angeles, dove è in vigore la pena capitale e New York, dove non è stata abolita ma ritenuta anticostituzionale e pertanto non applicata , i dati non sono molto dissimili ma addirittura si rileva n numero di crimini violenti minore, seppur di poco, in favore della Grande Mela.
Il fallimento della teoria del deterrente può essere dovuto ad alcuni fattori come ad esempio un effetto paradosso della pena capitale stessa: se un criminale che ha commesso crimini per cui è prevista la pena capitale, non avendo più niente da perdere potrebbe spingersi oltre a ogni limite pur di sottrarsi al suo arresto e all'inevitabile fine. Un altra causa che può interdire l'effetto deterrente è la distanza nel tempo in cui viene applicata la sentenza: se chi ha commesso un crimine viene condannato, dopo venti o trent'anni dall'esecuzione della sentenza gli unici che si ricorderanno dell'accaduto saranno solo quanti coinvolti nel crimine stesso.
Sempre prendendo come riferimento gli Stati Uniti, come scritto poc'anzi, possono passare decenni dalla sentenza all'esecuzione della pena, facendo cadere un'ulteriore teoria: l'abbattimento dei costi di gestioni dei carcerati. Infatti, una sentenza di morte porta con sé tutta una serie di strascichi come appelli, contrappelli, perizie,che portano ad una notevolissima spesa sia di risorse umane che di mezzi, facendo levitare i costi pro capite di detenzione di ogni singolo condannato al punto che la spesa potrebbe superare quella occorrente per un ergastolano.
Un altro punto a favore delle tesi abolizionista è l'umana fallibilità. Anche i giudici, in quanto esseri umani sono fallibili, se si condanna un innocente a una pena detentiva appena accorti dell'errore gli si ridarà la libertà indennizzandolo per il danno creato, come accaduto al pugile Hurricane Carter che ispirò prima la canzone “hurricane” di Bob Dylan e un film con Denzel Washington. Nel caso della condanna a morte nessuno potrà mai ridare la vita ai condannati ingiustamente, ci si può limitare solo a mondare il nome dei poveretti dall'infamia e dall'onta come avvenne nel 1975 per opera dell'allora governatore del Massachussets per l'esecuzione di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ideali capri espiatori per le loro origini italiane e le loro idee anarchiche. Ben poca cosa a parer mio.
Il primo abolizionista della storia fu Cesare Beccaria, nel suo “Dei delitti e delle pene” nella seconda metà del XVIII secolo auspicava la cessazione di questa pratica barbara anche se lasciava aperto uno spiraglio nel caso in cui,chi ha commesso il crimine, è tanto potente o è a conoscenza di tali informazioni che possano minare la sicurezza dello Stato. Alla base delle idee del Beccaria c'è il presupposto che le pene debbano essere inflitte in base alla gravità dei reati, esse non dovevano essere delle mere punizioni o vendette che un giudice infliggeva ai criminali, ma delle occasioni per il criminale di redimersi o se non altro di rendersi in qualche maniera utile alla società; trovava ipocrita uno stato che per punire gli assassini si macchiava dello stesso reato. Auspicava altresì al non ricorrere alla tortura in fase di interrogatorio in quanto per nulla garante della veridicità delle confessioni o delle testimonianze con essa estorte, si ricordino come esempio quante presunte streghe sono state messe al rogo dopo aver confessato “spontaneamente” di aver avuto rapporti sessuali con il demonio.
Il libello beccariano è stato talmente efficace che dopo pochi anni, il Granducato di Toscana fu il primo stato sovrano del mondo ad abolire per legge la pena capitale come previsto dal Codice Leopoldino, dal nome di Pietro Lepoldo granduca di Toscana, anche se di fatto la prima nazione a non ricorrervi più fu la Repubblica di San Marino dove l'ultima esecuzione capitale fu eseguita alla fine del 1400 ma abolita ufficialmente nella seconda metà del XIX secolo.
Per quanto riguarda la Repubblica Italiana è sancito dalla Costituzione entrata in vigore nel 1948 l'abrogazione della pena capitale se non comminata dalla corte marziale in caso di eventi bellici. L'ultima condanna a morte in Italia è stata eseguita nei pressi di Torino a seguito di una rapina in una cascina dove perirono dieci persone prese a bastonate e poi gettate morenti in una cisterna, per l'efferatezza del fatto il presidente De Nicola negò agli autori del misfatto la grazia.
Nel 1994 è stata abolita la pena capitale anche dal codice penale di guerra, sostituendola con la massima pena (che attualmente è l'ergastolo) e come passo conclusivo un anno fa una legge costituzionale impedisce l'inserimento della pena di morte in qualsiasi codice giuridico italiano.
La lotta alla pena di morte è tanto sentita in Italia al punto di illuminare il Colosseo ogni qual volta un condannato a morte venga graziato e propugnando presso l'ONU una moratoria internazionale che sospenda le esecuzioni che riuscì ad ottenere l'anno scorso.
In conclusione, citando una frase che riassume l'ipocrisia di chi sostiene la pena di morte, la stessa ipocrisia del boia che disinfetta il braccio del condannato prima di inserirgli l'ago con il quale verrà iniettata la miscela fatale: “se ci fosse la pena di morte, oggi molta gente sarebbe viva” (Nancy Reagan, 1979).

Canzone del giorno "Geordie" (F. De Andrè)